“Far conoscere i fatti – diceva – è già un modo di risvegliare le coscienze”. Il direttore Pino Pelloni ricorda il grande maestro di giornalismo
All’età di 96 anni è morto il giornalista e scrittore Sergio Zavoli. Gli amici della Fondazione Levi Pelloni lo ricordano con affetto per il suo impegno professionale, politico e civile. Un giornalista di gran razza che ha raccontato con le sue inchieste il secondo nostro Novecento. Quello del sudore dei ciclisti e delle stragi di Stato e del terrorismo, quello dell’Italia che pigia sull’acceleratore del boom economico e quello dell’Italia omertosa e vigliacca dei nostri giorni. Romagnolo di Ravenna, figlio di quella terra solare e dal cuore ribelle che ha dato i natali a penne famose come quella di Mussolini, di Nenni e di Leo Longanesi, per citarne alcuni, fu ospite di Pino Pelloni e Pietro Martini, grazie ai buoni uffici di padre Giulio Albanese, agli incontri del Giardino dell’Excelsior a Fiuggi.
Giornalista televisivo con un grande senso di responsabilità, spirito di servizio e un’idea etica dell’informazione che nulla ha a che fare con il panorama sguaiato di questo nuovo millennio. Per Zavoli, pur consapevole delle logiche di mercato, la televisione pubblica era, e sarebbe ancora dovuta essere, “uno straordinario mezzo di promozione della crescita culturale e civile della società”. “Far conoscere i fatti – diceva – è già un modo di risvegliare le coscienze”.
Tra gli inventori di Tv7, autore indiscusso dei reportage televisivi più belli, “Viaggio intorno all’uomo”, “Nascita di una dittatura” e, sopra tutti, “La notte della Repubblica”. 50 ore sulla “rivoluzione impossibile del terrorismo”. 50 ore di domande e risposte, di vedove, di padri delle vittime, di lacrime brigatiste davanti alla telecamera. Un “gioco delle parti”, tra lui e i terroristi, “fondato sulla più cruda e persino crudele lealtà”. Un faccia a faccia condotto con quella sua voce profonda, piana, non aggressiva, tuttavia severa fino a intimidire, destabilizzare l’interlocutore.
Il direttore di Com.Unica Pino Pelloni, raggiunto nei suoi ozii calabresi, ha ricordato: “Non faccio parte di quella schiera di pennivendoli che vantano (ma quanti sono, schiere immense!) di aver lavorato con Montanelli e con Zavoli. Sono di altra schiatta e lignaggio. Sergio Zavoli ho avuto modo di stimarlo a distanza e nonostante i miei tre lustri in Rai rare sono state le occasioni per frequentarlo. In seguito grazie all’amicizia che aveva con Piero Melograni ho avuto modo di sentire de visu il suo raccontare il Paese. L’unica occasione di un incontro pubblico, fatta eccezione per quello di Fiuggi a “Libri al Borgo” del 2016, fu a metà degli anni ’90, quando in occasione di una manifestazione con Tonino Guerra a Sant’Arcangelo di Romagna venni letteralmente “messo in mezzo” dai due grandi personaggi e con la complicità di Margherita Fellini, la sorella di Federico, che mi stuzzicarono quale discendente di Stefano Pelloni, il Passatore. Una bellissima, colta, divertente ed onirica romagnolata bagnata dall’ironia e dal Sangiovese”.