Gli 80 anni della distruzione della Abbazia di Montecassino rievocati a Palazzo San Macuto-Camera dei deputati
La Fondazione Giuseppe Levi Pelloni ha promosso una “lezione di storia” a piu’ voci, dedicata alla distruzione dell’abbazia di Monteccasino, in occasione degli 80 anni della sua distruzione ad opera dei pesanti bombardamenti delle Forze Alleate il 15 febbraio del 1944.
L’incontro, che si è tenuto venerdì 16 febbraio alla Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto-Camera dei deputati ha avuto come protagonisti Francesco Arcese, Antimo Della Valle, Gaetano De Angelis Curtis, Lutz Klinkhammer e Pino Pelloni.
Il 15 febbraio 1944, durante la seconda guerra mondiale, il magnifico edificio fondato da San Benedetto da Norcia nel VI secolo d.C. fu raso al suolo dal violento e continuo bombardamento con cui gli alleati martellavano il caposaldo tedesco che bloccava loro la strada per Roma. Nel dopoguerra fu completamente ricostruito secondo il disegno originario.
Distruzione inutile o necessaria? Su questo quesito e sul salvataggio di migliaia di opere d’arte, sulla condizione delle popolazioni civili, sulla propaganda dei comandi militari e sulla ricostruzione postbellica si è articolata la conferenza-seminario, grazie agli interventi degli storici e ricercatori presenti e impegnati a ricordare il tragico e storiograficamente controverso evento bellico che ha portato alla distruzione dell’antica abbazia benedettina.
Storiograficamente controverso dato che recenti ricerche presso archivi inglesi e statunitensi hanno evidenziato come l’abbazia di Montecassino venne distrutta da un errore di traduzione. Anzi per meglio dire fu uno scambio tra un nome di genere femminile e uno di genere maschile alla base dell’eliminazione di uno dei monumenti della cristianità, a causa di un bombardamento effettuato da una miriade di aerei anglo-americani.
L’ordine venne dato dal generale americano Mark Wayne Clark, nella convinzione, poi rivelatasi errata, che l’interno dell’Abbazia fosse occupato dai tedeschi. In realtà, paradossalmente, proprio le macerie dell’abbazia consentirono molto più facilmente alle truppe tedesche di trovare rifugio e di continuare la battaglia. Cosa che in effetti fecero, con il risultato che la linea Gustav, che passava appunto da Cassino, poté resistere alla pressione degli Alleati fino a maggio di quell’anno. In totale, durante la battaglia di Montecassino, che si sviluppò da gennaio a maggio del 1944, persero la vita circa 135mila tra alleati e tedeschi. Nel bombardamento persero la vita anche molti civili che proprio nel luogo di culto avevano cercato riparo sperando che fosse un luogo sicuro. L’abate Diamare ed i monaci sopravvissuti fuggirono poi a Roma per salvarsi. Il monastero fu preso il 18 maggio dai soldati polacchi, dopo molti mesi di violento conflitto e una perdita immensa di vite umane. Subito dopo, il 4 giugno, le forze alleate entrarono a Roma. L’Abbazia fu poi ricostruita nel Dopoguerra.
“Cassino e Montecassino – ha sottolineato a chiusura del convegno Pino Pelloni – divennero simboli della ricostruzione nazionale. Un editoriale apparso sul “New York Herald Tribune” nel maggio 1951 ha il merito di cogliere appieno il senso profondo del messaggio scolpito dallo scultore Pietro Canonica sul bassorilievo delle nuove porte bronzee dell’Abbazia, raffigurante le quattro distruzioni vissute da Montecassino nel corso della sua storia millenaria. 1500 anni di storia con numerose devastazioni e saccheggi. La prima volta venne distrutta dai Longobardi intorno al 580 d. C., poi furono i Saraceni nell’883 a ridurla in rovina e nel 1349 ci pensò un terremoto. E ogni volta è stata ricostruita. Anche se l’Abbazia venisse di nuovo rasa al suolo, si può essere certi del fatto che ci saranno sempre delle mani pazienti pronte a ricollocare, una ad una, tutte le pietre al loro posto, come già successo dopo ognuna delle precedenti distruzioni, perché gli ideali che essa racchiude sono eterni.”
Numeroso il pubblico plaudente, interessanti le immagini e il filmato inedito presentato dall’architetto Arcese e molto gradito il saluto del Generale Diego Paulet, Capo ufficio per la Tutela della Cultura e della Memoria della Difesa.