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L’antico Ghetto di Anticoli, denominato più propriamente la Casa degli Ebrei dallo storico Angelo Sacchetti Sassetti, autore di una importante Storia di Alatri, si estende nel secolo XII in maniera circoscritta tra via della Portella e via del Macello, occupando nei secoli XVI e XVII anche gli insediamenti compresi tra via della Piazza e via Giordano.
Lo sviluppo maggiore della comunità ebraica anticolana si ebbe quando molti discendenti di Abramo furono espulsi dall’Italia meridionale. Non risulta che in Anticoli abbiano aperto un Banco di Prestito, come è testimoniato in Anagni, Alatri e Veroli, mentre è documentata l’attività privata di commerci e lavori artigianali, dell’arte speziale e della scrittura. Gli ebrei, presenti nelle contrade del Basso Lazio, se sono sopravvissuti alle persecuzioni lo devono alla loro utilità nella società in cui vivevano e al loro spirito di adattamento presso le comunità che li ospitavano. La stessa esistenza della comunità ebraica in Anticoli e negli altri centri vicini, trova risposta anche nei comportamenti delle Chiese locali, che da una parte tentavano l’assimilazione religiosa e dall’altra favorivano la loro esistenza. È risaputo come la Camera Apostolica adoperasse ogni mezzo per invitare sottobanco gli Ebrei a prestare denaro a usura ai cristiani in modo che questi fossero in grado di adempiere al loro dovere di contribuenti. Prestiti che il potere temporale vietava ai sudditi, tollerandoli e sollecitandoli agli Ebrei. Pertanto le comunità ebraiche erano socialmente utili alla Chiesa e al Feudo.
Il termine Ghetto, infatti, fu “coniato” a Venezia solo nel 1516 e deriva dal nome della contrada veneziana, ghéto, dove esisteva una fonderia (gheto in veneziano). È qui che gli ebrei di quella città, una comunità di circa settecento persone, la gran parte aschenaziti di origine tedesca, furono costretti a risiedere in seguito ad un decreto del Senato della Repubblica di Venezia. C’è anche chi fa derivare il termine ghetto da borghetto (piccolo borgo) o dalla parola ebraica get, che letteralmente sta per “carta di divorzio”.
I soli documenti che parlano di un insediamento ebraico in Anticoli risalgono al 1183 dove nello Statuto Civico Anagnino si parla di ebrei in Anagni e nel territorio della Valle Anticolana e al 1215 quando Papa Innocenzo III concede in enfiteusi il Castello di Fumone a Leone di Anticoli, un ebreo convertito. Un atto notarile del secolo XV conferma ancora una presenza ebraica in Anticoli in quel periodo storico (un ebreo acquista dal convento di San Giovanni un terreno a vigna in zona di Curiano).
Molti invece sono i documenti, specialmente d’archivio notarile, che attestano la presenza stanziale di vere e proprie comunità di ebrei in Anagni, Veroli, Ferentino, Segni e Alatri. Un documento datato 11 giugno 1452 dell’Archivio Notarile di Vittorio maestro Nardo, prova l’esistenza in Alatri di una Casa delli Iudei, dove a vicolo Vezzacchi si è ipotizzata l’esistenza della loro Sinagoga.
Sul finire del Quattrocento ricompare il nome di Anticoli: tale Salomone di Manuele di Sezze, abitante a Sermoneta, aveva un fratello chiamato Servi che, durante il suo soggiorno ad Anticoli, andò ad imparare l’ebraico presso il Rabbino Rosso ad Alatri (Arch. Not. Atti di Domenico Mancinelli, 5 marzo 1499)
Il recente ritrovamento (25 luglio 2012), in via del Macello, di una pietra incisa raffigurante una menorah (candelabro a sette braccia) conferma ancor più storicamente la presenza di una comunità ebraica in Anticoli. L’incisione è di fattura catalana, il che fa ipotizzare la sua datazione alla fine del XV secolo. Forse portata o creata da ebrei venuti dalla Sicilia.
Nel sud dell’Italia, soprattutto dopo la conquista della Sicilia da parte degli Arabi, si andarono formando importanti comunità ebraiche. Nel 1282 quando la Sicilia passa sotto la dominazione spagnola, la sorte degli ebrei siciliani è legata alle vicende della Spagna. A raccontare per primo degli ebrei di Sicilia fu un mercante ebreo spagnolo, Beniamino da Tudela (Navarra), vissuto nel secolo XII, il secolo di Maimonide, il secolo d’oro della letteratura ebraica. Beniamino, grande viaggiatore tanto da essere soprannominato il Marco Polo degli Ebrei intraprese tra il 1156 e 1157 un viaggio dalla Spagna all’estremo oriente attraversando l’Italia. Nel suo manoscritto “Itinerarium” riferisce particolari circa la presenza in Italia di insediamenti ebraici che, pur essendo le sue stime del tutto approssimative, sono di particolare importanza. Visita Marsiglia e Genova, si ferma a Lucca e Pisa, conosce Bologna e la Roma di papa Alessandro III, si spinge sino ad Otranto da dove si imbarca per Corfù. Al suo ritorno dall’Oriente si ferma in Sicilia, e ci dà interessanti notizie sulla vita degli ebrei siciliani, che esercitavano quasi esclusivamente l’arte dei tessitori e dei tintori. Il ricordo di questa professione è rimasto in alcuni cognomi di ebrei d’origine siciliana: Croccolo, Cremisi (come nei paesi tedeschi c’è il cognome Farber, o Ferber, che significa: tintore), e la tassa che gli ebrei dovevano pagare come ebrei, era detta appunto tassa dei tintori. E quando, alla fine del Medio Evo, gli ebrei vengono cacciati dalla Sicilia, l’arte dei tessitori scompare dall’Isola. Gli ebrei di Sicilia arrivavano in totale a 37mila con Palermo che, con i suoi tremila ebrei, era la città più popolosa. Fra le comunità ebraiche del Sud erano fiorenti quelle di Bari, Trani e Otranto, soprattutto ricordate come importanti centri culturali ebraici.
Ad Anticoli si ricorda, e non è una leggenda, che gli ebrei del ghetto di via della Portella erano soliti raccogliere in enormi contenitori l’urina che, trasformata in ammoniaca, veniva venduta agli ebrei di Veroli e di Segni che esercitavano le professioni di tessitori e tintori. Nulla vieta pensare che queste artigianalità legate alla tessitura fossero state importate nelle nostre contrade proprio da ebrei provenienti dal Sud che trovarono nei paesi della Ciociaria governati dalla Chiesa una qualche liberalità. “Veroli era rinomata nell’arte della tessitura. Marcello Stirpe ricorda che, già nel secolo XIII, la Camera Apostolica riceveva dalla municipalità di Veroli, quale tributo annuo, 60 braccia, circa 400 metri di panno tessuto in città, e ancora nel secolo XV, Giovanni Sulpicio celebrava le tessitrice verolane quali discepole di Aracne….”
E per amore di documentazione ecco riportato ancora, da uno studio della professoressa Nella Vano, come di fusi si parla in vari atti notarili. Questo è datato 1490: “Sabatuccio ebreo vende a Prospero di Domenico Renzi certi fusi “pro mulieribus” per 2 carlini”.
E’ cosa certa che gli ebrei venuti dal sud, poi quelli venuti dalla Spagna e quelli arrivati da Roma hanno portato tra la comunità anticolana l’arte di lavorare il vetro, di conciare la pelle, di battere il rame, di fabbricare finimenti per cavalli e muli, la medicina e la scrittura.
Oggi, nel ghetto di Anticoli sono visibili la Menorah di via del Macello; il Mercato, posto dinanzi la chiesa di San Pietro costruita nel 1617; il Portico e la Corte ebraica in via della Portella; un Forno in via del Macello dove sono stati rinvenuti attrezzi in ferro per la lavorazione del vetro. Nel sottoportico della parte bassa di via della Portella è stata ipotizzata la presenza di una Sinagoga (con il ritrovamento due vasche rituali) e di una sala adibita a scrittura e probabilmente a banco di prestito.
Quando nel 1555, con la bolla Cum nimis absurdum, papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, creò il Ghetto di Roma che costringeva gli ebrei a vivere in un’area specifica e prevedeva una serie di restrizioni particolari, che sarebbero poi state in vigore per secoli, i pochi ebrei superstiti della comunità di Anticoli, come quelli delle comunità di Alatri, Veroli e Anagni fuggirono verso sud rifugiandosi a Terracina e Sermoneta e verso il Regno di Napoli per evitare la costrizione romana.
Il ghetto voluto dal papa, chiamato “serraglio degli ebrei”, sorse nel rione Sant’Angelo (chiesa di Sant’Angelo alla Pescheria) accanto al Teatro di Marcello. Fu scelta questa zona perché la comunità ebraica, che nell’antichità classica viveva nella zona dell’Aventino e, soprattutto, in Trastevere, vi dimorava ormai prevalentemente e ne costituiva la maggioranza della popolazione.
Da documenti conservati nell’archivio privato di don Celeste Ludovici si viene a conoscenza come alla fine del XVII secolo gli ebrei di Anticoli abbiano aiutato la popolazione e la Chiesa Anticolana durante i periodi di carestia. L’aiuto della comunità ebraica verso gli anticolani si manifestò anche durante i terremoti del 12 marzo 1617 (ore 3 di notte) e del 24 luglio 1654 (ore cinque e tre quarti). E soprattutto durante l’epidemia di peste bubbonica del 1656-1657 che fece molte vittime di seguito sepolte nel cimitero che sorgeva vicino alla chiesa di San Biagio fuori le mura.
Tracce del cimitero ebraico sono state rinvenute nella zona del monastero di San Giovanni a Curiano.
A seguito delle leggi razziali fasciste del 1938 e soprattutto dopo la razzia nel Ghetto di Roma del 16 ottobre del 1943 numerose famiglie di ebrei romani hanno trovato rifugio ed ospitalità presso famiglie anticolane e dei vicini paesi di Acuto e Trivigliano.
Il 1938 è un anno cruciale. La vita cambia in tutti i suoi aspetti, pubblici e privati. È una svolta che coinvolge tutti gli ebrei, dai bambini agli anziani, da chi nasce a chi muore. Dal 1938, infatti, “ufficialmente” gli ebrei non muoiono più in Italia: è vietata anche la pubblicazione dei necrologi sui giornali. Dal 1938 gli ebrei in Italia devono diventare “invisibili”.
Il 16 ottobre del 1943 è ricordato come il “sabato nero” del ghetto di Roma. Alle 5.15 del mattino le SS invadono le strade del Portico d’Ottavia e rastrellano 1024 persone, tra cui oltre 200 bambini. Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina. Dopo sei giorni arriveranno al campo di concentramento di Auschwitz in territorio polacco. Solo quindici uomini e una donna (Settimia Spizzichino) ritorneranno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini è mai tornato.
In Italia furono eseguiti 1898 arresti di ebrei da parte di italiani, 2489 da parte di tedeschi, 312 vennero compiuti in collaborazione tra italiani e tedeschi, mentre non si conosce la responsabilità dei rimanenti 2314.
Numerosi cittadini italiani di religione ebraica trovarono rifugio a Fiuggi presso l’Albergo Vittoria di Costantino Ambrosi, nelle case di Marcello Fiorini, Maria Luisa D’Amico e Virginia Pomponi. A Trivigliano nelle case di Marietta e Amarilide Avoli, Fernanda e Maria Pia Lattanzi e Fermina Lattanzi-Severa. Ad Acuto vanno ricordate le suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue per il loro aiuto agli ebrei perseguitati, tanto da meritarsi il titolo di Giusti.
Ancora oggi sono in tanti a portare il cognome ANTICOLI.